18 dicembre 2012

Febbre di Marburg in Uganda: l’update dell’Oms

Rimane alta l’attenzione sul focolaio di febbre emorragica di Marburg riportato a metà ottobre dalle autorità sanitarie nazionali dell’Uganda. Al 28 ottobre, erano stati segnalati 18 casi e 9 decessi (tra cui un operatore sanitario) in cinque distretti del Paese: Kabale, Ibanda, Mbarara, Kabarole e Kampala (la capitale). Il tasso di letalità è del 50%. L’ultimo caso confermato è stato ricoverato in isolamento il 26 ottobre nel distretto di Ibanda. Oms, Cdc, Croce Rossa ugandese, African Field Epidemiology Network (Afenet) e Medici Senza Frontiere stanno aiutando le autorità nazionali nelle indagini epidemiologiche e nella risposta all’epidemia. Per precauzione i Paesi confinanti sono stati allertati per rafforzare la sorveglianza alle frontiere e prevenire la diffusione dell’epidemia. L’Oms non raccomanda restrizioni nei viaggi o nel commercio con l’Uganda.
Fonte: Epicentro 8 novembre 2012

Che cosa è la Febbre di Marburg?
La febbre emorragica di Marburg è una malattia virale causata da un virus indigeno dell’Africa, molto simile a quello dell’Ebola, appartenente alla famiglia delle Filoviridae. In entrambi i casi si tratta di agenti patogeni estremamente aggressivi e con un alto tasso di letalità.
Marburg e Ebola sono 2 virus distinti che provocano una sintomatologia molto simile.
La Febbre di Marburg si manifesta in modo improvviso e rapido con forte mal di testa, dolori muscolari, acuto stato di malessere, febbre alta e rapida debilitazione. Compaiono poi dolori addominali e crampi, diarrea acquosa che può durare anche per una settimana, nausea e vomito. In molti casi, tra il quinto e il settimo giorno, il malato ha delle emorragie da diverse parti del corpo, che spesso portano a morte. Nei casi fatali, la morte sopraggiunge nell’arco di 8-9 giorni.
Il virus colpisce persone di tutte le età, anche se la maggior parte dei casi è stata registrata sugli adulti Il contagio avviene per trasmissione diretta del virus da persona a persona, per contatto con i fluidi corporali, il sangue, l’urina, il vomito ma anche le secrezioni respiratorie. Non sembra, invece, essere molto efficace la trasmissione via aerosol.


Prevenzione e Trattamento
Secondo l’Oms, le ricerche effettuate finora hanno escluso che gli esseri umani siano parte del ciclo naturale del virus, e, quindi, il contagio avverrebbe per contatto casuale con altri animali infetti. Tuttavia, gli studi svolti fino ad oggi non hanno permesso di identificare quale animale sia serbatoio naturale della malattia, nonostante siano stati analizzati più di 3000 vertebrati e oltre 30mila artropodi. E questo rende molto più difficile l’attuazione di misure preventive.
Il virus non si trasmette durante il periodo di incubazione che dura da 3 a 9 giorni. Il momento in cui il paziente è più contagioso è invece quello della fase acuta della malattia, soprattutto durante le manifestazioni emorragiche. Il contagio è favorito in tutte le situazioni di condizioni sanitarie precarie e dove le persone sono a contatto diretto con il malato e con superfici e materiali infetti. Ecco perché un adeguato isolamento e sepoltura dei corpi, per ridurre al minimo la circolazione del virus in ambiente  e la rigorosa applicazione di misure igieniche che evitino il contatto con strumenti, vestiario e tutto quello che può essere a contatto diretto con il malato, sono le uniche pratiche che possono consentire di arginare la dimensione dell’epidemia. Per i viaggiatori che visitano un Paese dove si sta registrando un’epidemia di Marburg, è opportuno raccogliere informazioni sulla malattia prima di intraprendere il viaggio in modo da rivolgersi immediatamente a un presidio medico al primo sintomo di febbre, adottare pratiche igieniche stringenti (come lavarsi le mani frequentemente) e non mangiare carne di animali selvatici, come ad esempio quella di scimpanzé o di scimmia. Non esiste un vaccino contro la febbre emorragica di Marburg, né alcun trattamento efficace contro la malattia. L’unico trattamento è quello, laddove possibile, di assistere il paziente, cercando di ricostituire la sua riserva di acqua ed elettroliti, fornendo ossigeno ed effettuando trasfusione di sangue.

Fonte: Epicentro www.epicentro.iss.it   

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